Gino Bartali

Gino Bartali fu uno dei ciclisti professionisti piu amati in Italia. Bartali vinse il Tour de France nel 1938 e nel 1948 e le sue leggendarie scalate sulle Alpi e i Pirenei gli valsero il soprannome di Gigante delle Montagne. Fino a poco tempo fa, però, pochi erano a conoscenza del fatto che, durante la Seconda Guerra Mondiale, Gino rischiò la propria vita e quella della sua famiglia per salvare quella di centinaia di Ebrei.

Eventi principali

Usando gli allenamenti alle gare come copertura, Bartali percorse migliaia di chilometri tra Firenze, Luca, Assisi, Genova e Roma trasportando, nascosti nel telaio della sua bici, carte d’identità contraffatte e altri documenti che dovevano rimanere segreti.

I suoi sforzi contribuirono a salvare centinaia di Ebrei in fuga da altre nazioni Europee.

Per il suo contributo, nel 2013 l’organizzazione Yad Vashem ha assegnato a Gino Bartali il titolo di “Giusto fra le Nazioni.”

L’infanzia e la prima giovinezza

Gino Bartali nacque a Ponte a Ema, un piccolo paese a sud di Firenze, il 18 luglio 1914. Suo padre, Torello Bartali, si guadagnava il pane lavorando a giornata, mentre sua madre aiutava a mantenere la famiglia lavorando nei campi e ricamando. Gino aveva due sorelle più grandi, Anita e Natalina, e un fratello minore, Giulio, che come lui aveva la passione per le corse in bicicletta. Gino cominciò a contribuire al bilancio famigliare in giovane età andando a lavorare in una fattoria e aiutando sua madre con il ricamo.

All’età di undici anni, Gino fu costretto procurarsi un mezzo di trasporto per poter frequentare la scuola media, perché la più vicina si trovava a Firenze. Usando in parte i suoi guadagni e in parte con l’aiuto di suo padre e delle sue sorelle, Gino riuscì ad acquistare la sua prima bicicletta. Fu così che, pedalando sulle colline toscane, Bartali cominciò a sviluppare e poi raffinare le sue doti di ciclista e di corridore. Nel 1931, all’età di 17 anni, vinse la sua prima corsa.

La carriera ciclistica

Bartali diventò un corridore professionista nel 1935 e vinse il suo primo Giro d’Italia l’anno successivo, il 1936. Per accrescere la reputazione del ciclismo italiano all’estero, la Federazione Ciclistica Italiana lo costrinse a gareggiare nel Tour de France del 1938, nonostante Bartali non si sentisse pronto. I Fascisti, che con l’ascesa al potere di Benito Mussolini nel 1922 avevano assunto il controllo totale delle istituzioni italiane sia pubbliche che private, speravano che una vittoria al Tour avrebbe dimostrato la superiorità del Fascismo e della “razza Italiana.”

Bartali vinse il Tour de France, ma non avendo nessuna simpatia per il regime, non dedicò la vittoria al Duce, come sarebbe stato d’obbligo. Di conseguenza, al suo ritorno in Italia, Gino non ricevette gli onori che gli sarebbero spettati.

Il 1938 aveva anche portato un cambiamento molto importante nella vita degli Ebrei italiani: il Gran Consiglio del Fascismo aveva infatti approvato le cosiddette Leggi Razziali, che si ispiravano alle Leggi di Norimberga varate in Germania. Le Leggi Razziali escludevano quasi totalmente gli Ebrei dalla vita pubblica italiana e, più tardi, sarebbero state usate per facilitare le deportazioni nei campi di concentramento. Inevitabilmente, esse marcarono anche l’inizio di una più stretta alleanza con la Germania di Hitler.

Il 10 giugno 1940, l’Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. In ottobre, Bartali fu richiamato nell’esercito. A causa di un’aritmia cardiaca, gli fu affidato il ruolo di staffetta, compito per il quale gli fu permesso di continuare a usare la sua bicicletta. Così, durante i tre anni successivi, Bartali poté continuare ad allenarsi e a gareggiare.

Gli anni dell’occupazione tedesca

L’estate del 1943 fu di cruciale importanza per l’Italia. In luglio, Benito Mussolini venne deposto e arrestato. In settembre, il nuovo governo firmò l’armistizio con gli Alleati e, di conseguenza, la Gerrmania invase le regioni del nord, inclusa la Toscana. Con l’occupazione tedesca, le condizioni per gli Ebrei peggiorarono ulteriormente.

Sempre nel settembre del 1943, il Cardinale Elia Dalla Costa chiese a Bartali di incontrarlo. Dalla Costa aiutava da tempo in segreto gli Ebrei che avevano cercato rifugio in Italia dalle altre nazioni Europee. I profughi avevano soprattutto bisogno di documenti falsi. Dalla Costa rivelò a Bartali il suo piano: con la scusa dei suoi lunghi allenamenti in bicicletta, Bartali avrebbe potuto portare documenti contraffatti, e le foto necessarie a completarli, nel telaio della sua bicicletta. Il piano era geniale perché il bisogno di allenarsi costituiva una scusa perfetta e, inoltre, Bartali conosceva benissimo quelle strade.

Nonostante gli evidenti rischi, Bartali accettò. Per tutto l’anno successivo egli percorse centinaia di chilometri con la sua bicicletta, nascondendo nel telaio documenti di vitale importanza. In alcune occasioni Bartali venne accompagnato dai suoi compagni d’allenamento, i quali però non sapevano nulla dello scopo segreto dei suoi viaggi. Quando venivano fermati a qualche posto di blocco, Bartali teneva occupate le guardie chiacchierando di ciclismo. Se qualcuno accennava a voler controllare la bicicletta, Bartali li convinceva a non farlo dicendo che le parti erano montate insieme in modo unico così da adattarsi perfettamente alle sue caratteristiche di corridore.

Per pura coincidenza, poco dopo aver cominciato la sua collaborazione con la Resistenza, a Bartali fu chiesto di nascondere una famiglia di Ebrei che egli conosceva molto bene. Gino disse ancora una volta di sì e Giorgio Goldenberg, con sua moglie e suo figlio, vissero nascostri nella cantina di Bartali fino a quando Firenze non venne liberata.

Nel frattempo, però, a causa delle condizioni difficili create dalla guerra, le corse ciclistiche professionistiche erano state cancellate. Di conseguenza, la copertura di Bartali divenne meno credibile e, nel luglio del 1944, Bartali fu condotto come sospetto a Villa Triste, a Firenze, il luogo dove i Fascisti imprigionavano e torturavano i loro oppositori. Fortunatamente, uno degli ufficiali incaricati di interrogarlo era stato suo comandante nell’esercito e convinse gli altri che Bartali era completamente estraneo a tutte le accuse.

La Liberazione e gli anni seguenti

L’11 agosto 1944 Firenze venne liberata. Il conflitto e l’impegno nella Resistenza avevano indebolito Bartali che dovette lottare per ritornare ad essere il campione di prima della guerra. Nonostante le difficoltà, Gino vinse il Giro d’Italia nel 1946 e, con una prestazione straordinarie sulle montagne francesi, anche il Tour del 1948, dieci anni dopo la sua prima vittoria.

Giusto tra le nazioni

Per molti anni, dopo la fine della Guerra, Bartali non parlò con nessuno del ruolo avuto nel salvataggio di centinaia di persone. Egli condivise solo pochi dettagli con il figlio Andrea. Fu solo dopo la sua morte che il suo contributo venne alla luce. Nel 2013, Yad Vashem proclamò Gino Bartali “Giusto tra le Nazioni.”

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