Alla morte del padre, Judith e la sua famiglia si trasferirono a Kovno. Ben presto furono confinati nel ghetto della città che i Tedeschi avevano costituito nel 1941. Judith, sua sorella e sua madre furono deportate a Stutthof, dove la madre morì. Judith e la sorella scapparono da una marcia della morte partita da Stutthof. Si finsero non-Ebree e lavorarono in alcune fattorie trovando, alla fine, rifugio in Danimarca. Il fratello riuscì a sopravvivere a Dachau.
E poi arrivammo dove cominciava il filo spinato e quindi il ghetto, il ghetto di Kovno, che era conosciuto in diversi modi; noi lo chiamavamo Slobodka, il ghetto di Slobodka. Noi dovevamo vivere lì e il cibo era molto, molto scarso. C'era un uomo che si chiamava Motke. E ancora oggi vorrei non avere avuto nessun rapporto con quelle persone. Non so neancnhe cosa ne sia stato di loro. Lui sceglieva bambini biondi e con gli occhi azzurri perché pensava che non sembravano Ebrei, come se la gente credesse che gli Ebrei dovessero avere un aspetto particolare. E poi ci diceva che se volevamo sopravvivere dovevamo introdurre di nascosto il cibo nel ghetto. Così alcune persone mi diedero degli oggetti di valore. Lui poi fece un varco nel filo spinato con le pinze e ci mostrò come aprirlo e richiuderlo. Poi ci disse dove dovevamo andare per trovare dei viveri. Mi ricordo di aver nascosto burro e pane sotto i vestiti per portarli nel ghetto passando davanti alla sentinella e mi ricordo di avere avuto tanta paura.
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