Gli Ebrei Tedeschi durante l’Olocausto
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale accelerò la persecuzione, la deportazione, e più tardi lo sterminio degli Ebrei tedeschi. Si calcola che i Nazisti e i loro complici uccisero tra i 160.000 e i 180.000 Ebrei tedeschi durante l’Olocausto, inclusi coloro che furono deportati.
Eventi principali
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Allo scoppio della guerra, nel settembre del 1939, più di metà degli Ebrei tedeschi si era trasferito in un altro paese. Circa 304.000 Ebrei erano emigrati durante i primi sei anni della dittatura nazista.
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Tra il 1939 e il 1941, gli Ebrei furono sistematicamente privati delle loro proprietà e fu loro impedito di lavorare. All’inizio del 1939, solo il 16% circa dei capofamiglia ebrei aveva un lavoro fisso di qualunque tipo. Inoltre, la vita in Germania era diventata sempre più difficile a causa delle leggi razziali.
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Nel 1941, le politiche antiebraiche naziste diventarono ancora più radicali. Gli Ebrei furono obbligati a cucire sugli abiti la stella di David e iniziarono le prime deportazioni nei ghetti e nei campi di concentramento.
1933-1939
Nel gennaio 1933 in Germania vivevano circa 522,000 Ebrei – classificati come tali in base alla loro religione. Più della metà, circa 304.000, emigrarono durante i primi sei anni della dittatura nazista, facendo così scendere il numero di Ebrei in Germania (in quelli che erano i suoi confini nel 1937) alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, a circa 214.000.
Negli anni tra il 1933 e il 1939, il regime nazista aveva messo in atto cambiamenti radicali molto inquietanti per la comunità ebraica tedesca, in materia sociale, economica e in altri aspetti della vita comunitaria. Sei anni di legislazione nazista avevano emarginato e privato dei diritti civili i cittadini ebrei, che erano stati espulsi da tutte le professioni e dalla vita commerciale. All’inizio del 1939 solo il 16 per cento degli Ebrei con un qualunque tipo di reddito possedeva un impiego stabile. Migliaia di Ebrei furono inoltre internati nei campi di concentramento, in particolare dopo gli arresti di massa seguiti alla Kristallnacht (Notte dei Cristalli) nel novembre del 1938.
La Seconda Guerra Mondiale
Tuttavia, il cambiamento più drastico per la comunità ebraica in Germania avvenne con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale in Europa. Durante i primi anni della guerra, l’Associazione degli Ebrei Tedeschi del Reich (Reichsvereinigung der Juden in Deutschland) – che pur essendo ufficialmente guidata dal teologo Leo Baeck era stata trasformata in modo da essere soggetta alle richieste delle autorità tedesche - operò per far sì che altri Ebrei potessero emigrare, oltre che per sostenere le scuole e le organizzazioni ebraiche che si auto finanziavano, e per aiutare la comunità ebrea tedesca a convivere con il sempre crescente numero di leggi discriminatorie.
Subito dopo l’inizio del conflitto, il primo settembre 1939, il governo impose nuove restrizioni agli Ebrei rimasti in Germania. Una delle prime ordinanze del tempo di guerra impose un rigido coprifuoco per gli Ebrei e proibì loro di accedere a determinate zone in molte città tedesche. Quando il cibo cominciò a essere razionato, agli Ebrei furono riservate razioni ulteriormente ridotte; decreti successivi limitarono le ore durante le quali gli Ebrei potevano acquistare cibo e altri articoli e limitarono l’accesso a certi tipi di negozi, con il risultato che le famiglie ebree si trovarono spesso prive anche dei prodotti di prima necessità.
Le autorità tedesche pretesero anche che gli Ebrei consegnassero a funzionari locali gli oggetti considerati “essenziali per lo sforzo bellico” come radio, macchine fotografiche, biciclette, apparecchiature elettriche e altri oggetti di valore. Nel settembre del 1941, un nuovo decreto proibì agli Ebrei l’uso dei mezzi pubblici. Lo stesso mese venne anche emanato l’ormai famoso decreto che imponeva a tutti gli Ebrei sopra i sei anni d’età di esibire in pubblico, cucita sugli indumenti, la Stella Gialla (Magen David). Anche se in Germania generalmente non furono mai costituiti veri e propri ghetti, regole di residenza molto severe obbligarono gli Ebrei a vivere in aree ben delimitate all’interno delle città tedesche, concentrandoli in cosiddette “case ebraiche” ( “Judenhäuser”). Le autorità tedesche inoltre emanarono diverse ordinanze che imponevano agli Ebrei che ne erano in grado di prestare lavoro forzato.
All’inizio del 1943, mentre venivano eseguite le ultime grandi deportazioni di Ebrei tedeschi a Theresienstadt o Auschwitz, le autorità giudiziarie promulgarono un altro complesso di leggi e ordinanze che legittimavano l’espropriazione da parte del Reich delle ultime proprietà dei cittadini ebrei e la loro ridistribuzione ai cittadini tedeschi. La persecuzione degli Ebrei attraverso decreti legislativi terminò nel luglio del 1943 con l’ordinanza che li privava completamente della protezione assicurata dalle leggi tedesche a tutti gli altri cittadini e li poneva sotto la diretta giurisdizione dell’Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauuptamt-RSHA).
Le deportazioni
L’opinione pubblica spesso associa la deportazione dei cittadini ebrei con la “Soluzione Finale”, ma in effetti le prime deportazioni degli Ebrei dal Reich cominciarono nell’Ottobre del 1939, nel contesto del Piano Nisko (o Lublino), che riguardò solo le zone annesse di recente alla Germania. La strategia delle deportazioni prevedeva la creazione di una vera e propria “riserva” nel Distretto di Lublino, all’interno del Governatorato Generale (la zona di Polonia occupata dai Tedeschi ma non ufficialmente annessa al Reich). Adolf Eichmann, l’ufficiale delle RSHA che più tardi avrebbe organizzato la deportazione di intere comunità ebraiche europee verso i ghetti e i centri di sterminio, coordinò il trasferimento verso Nisko, sul fiume San, di circa 3.500 Ebrei provenienti dalla Moravia (che prima apparteneva alla Cecoslovacchia), da Katovice (allora Kattowitz) che si trovava in Slesia (a sua volta annessa alla Germania) e dalla capitale austriaca, Vienna. Le deportazioni furono poi interrotte sia a causa di problemi logistici che del cambiamento avvenuto nelle politiche tedesche, ma i diretti superiori di Eichmann all’RSHA furono così soddisfatti dal suo operato da assicurarsi che servisse da modello nelle deportazioni future.
Nell’autunno e nell’inverno 1939-1940, ufficiali della RSHA coordinarono la deportazione nel Governatorato Generale di circa 100.000 Ebrei provenienti dal territorio polacco annesso alla Germania, territorio formato dalla cosiddetta Provincia Danzica-Prussia Occidentale, dal Distretto Wartheland e dalla Slesia Nord Orientale. Nell’ottobre del 1940, durante la seconda fase di deportazione degli Ebrei tedeschi, il Gauleiter Josef Bürckel ordinò l’espulsione di circa 7.000 Ebrei da Baden e da Saarpfalz nella Germania sudoccidentale e il loro trasferimento in zone non occupate della Francia. Le autorità francesi assorbirono la maggior parte di quegli Ebrei tedeschi nel campo di internamento di Gurs, nei Pirenei, nella Francia meridionale.
Con l’autorizzazione di Hitler, le autorità tedesche cominciarono la deportazione sistematica degli Ebrei dalla Germania nell’ottobre del 1941, anche prima che le SS e la polizia costituissero i primi centri di sterminio nella Polonia controllata dai Tedeschi. In seguito all’Undicesimo Decreto del Reich Tedesco sulle Leggi di Cittadinanza (Novembre 1941) gli Ebrei tedeschi “deportati ad Est”, nel momento in cui varcavano la frontiera, subivano la confisca automatica di tutte le loro proprietà.
Tra l’ottobre e il dicembre del 1941, le autorità tedesche deportarono verso i ghetti di Lodz, Minsk, Kovno (Kaunas, Kovne) e Riga circa 42.000 Ebrei provenienti dalla cosiddetta Grande Germania, la quale includeva l’Austria, la Bohemia e la Moravia: quest’ultime erano state sottratte alla Cecoslovacchia e annesse alla Germania. Gli Ebrei tedeschi mandati a Lodz nel 1941, insieme a quelli trasferiti nella prima metà del 1942 a Varsavia, nei ghetti di transito di Izbiva e Piaski e in altre località nel Governatorato Generale, vennero poi deportati con gli Ebrei polacchi nei centri di sterminio di Chelmo (Kulmhof), Treblinka e Belzec.
Tra il novembre 1941 e la fine d’ottobre 1942, le autorità tedesche deportarono nei ghetti degli Stati Baltici e in Bielorussia più di 50.000 Ebrei provenienti dalla cosiddetta Grande Germania. Una volta arrivati a destinazione, le SS e le forze di polizia ne fucilarono subito la maggior parte. I pochi Ebrei selezionati per i lavori forzati furono tenuti separati da quei pochi risparmiati dalle SS in quanto utili in qualche specifico settore professionale e che erano stati internati in sezioni speciali tedesche all’interno dei ghetti Baltici e Bielorussi.
Quei “ghetti tedeschi”, creati all’interno di un ghetto più grande, caratterizzarono in particolare le città di Riga e Minsk. Le SS e la polizia uccisero la maggior parte di quegli Ebrei tedeschi quando liquidarono i due ghetti, nel 1943. Dopo l’ottobre del 1942, le autorità tedesche deportarono la maggior parte degli Ebrei rimasti in Germania direttamente nei centri di sterminio di Auschwitz-Birkenau o di Theresienstadt.
Le leggi tedesche all’inizio esentarono dalle misure antiebraiche (inclusa la deportazione) i veterani di guerra e le persone sopra i 65 anni d’età, così come gli Ebrei che avevano un coniuge Tedesco “Ariano” (“matrimoni privilegiati”) e i loro figli. Alla fine però i Nazisti deportarono dalla cosiddetta Grande Germania e dall’Olanda (occupata dai Tedeschi) nel ghetto di Theresienstadt, vicino a Praga, anche i disabili e gli Ebrei decorati di guerra, così come gli anziani o gli Ebrei di alto rango. Anche se Theresienstadt fu usata dalle SS per creare l’immagine fittizia di un trattamento umano degli Ebrei, in realtà essa costituiva solo un campo di transito per la maggior parte degli Ebrei destinati ad essere poi deportati “ad est”. Le SS e la polizia trasferivano periodicamente gli Ebrei - inclusi Ebrei tedeschi - da Theresienstadt ai centri e ai luoghi di sterminio che si trovavano nella Polonia occupata, in Bielorussia e negli Stati Baltici. Più di 30.000 persone, inoltre, morirono nel ghetto di Theresienstadt, per lo più di fame, malattia e maltrattamenti.
Nel maggio 1943, le autorità naziste annunciarono che il Reich era “judenrein” (“liberato dagli Ebrei”). A quel punto, le deportazioni di massa avevano lasciato meno di 20.00 Ebrei in Germania. Alcuni sopravvissero perché sposati con persone non-ebree o perché le leggi razziali li classificavano come Mischlinge (cioè di ascendenza mista e solo in parte ebraica) e quindi almeno temporaneamente esentati dalla deportazione. Altri, chiamati “U-boat” o “sottomarini”, vissero in clandestinità e spesso riuscirono ad evitare l’arresto e la deportazione grazie all’aiuto di Tedeschi non-ebrei impietositi dalla loro situazione.
In tutto, i Tedeschi e i loro alleati uccisero tra i 160.00 e i 180.000 Ebrei tedeschi durante l’Olocausto, inclusa la maggior parte degli Ebrei deportati fuori dalla Germania.