George trascorse gli ultimi tre anni della guerra passando da un campo di concentramento all'altro; nel 1945, quando venne liberato dalle forze americane, si trovava nel campo di Woebbelin, in Germania. Dopo la liberazione, George trascorse più di due anni in vari campi profughi, emigrando infine negli Stati Uniti nell'ottobre del 1947.
Corsi in quella direzione e quando arrivai sul posto vidi tanti prigionieri che gridavano e urlavano e saltavano e ballavano. In piedi, in mezzo a loro, c'erano sette giganti, sette ragazzi giovani. Dovevano avere 18 o 19 anni... erano soldati americani. Ce n'erano sette o otto di loro, in piedi in mezzo al campo. Sembra che avessero tagliato il filo spinato e fossero entrati. Rimasero sconcertati quando ci videro: eravamo ispidi, selvatici e, ne sono sicuro, mandavamo anche un odore non tanto buono, e saltavamo e ballavamo, cercando di abbracciarli e baciarli. E lo feci anch'io; anch'io mi unii alla folla e urlai e gridai, sentendo in qualche modo che il giorno della liberazione era arrivato. Era una strana sensazione per me, però, perché mi ricordo che, da un lato, ero come sopraffatto da questo inaspettato - e insperato - incontro con la libertà, ma allo stesso tempo ciò che stava accadendo era separato da me, non sapevo cosa pensarne esattamente o cosa fare. Sapevo che ero libero, ma non riuscivo a contarci fino in fondo. In qualche modo, non sapevo più cosa significasse [essere libero]. Sapevo che era fantastico ed ero pazzo di gioia perché tutti intorno a me lo erano... pazzi di gioia... e cantavano e ballavano e... insomma, io avevo 17 anni ed ero libero, ma cosa volesse dire... beh... ecco... non lo sapevo di sicuro.
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