Nel 1939 i Fascisti slovacchi presero il controllo di Topol'cany, dove Miso viveva. Nel 1942 Miso venne deportato nel campo di Novaky, amministrato dagli Slovacchi, e poi ad Auschwitz, dove venne tatuato con il numero 65.316, che significava che altri 65.315 prigionieri erano stati registrati prima di lui. Miso venne quindi destinato ai lavori forzati in uno degli stabilimenti di Buna e poi nel settore denominato Kanada, dove fu assegnato allo scarico dei treni in arrivo. Verso la fine del 1944, i prigionieri vennero trasferiti nei campi di concentramento in Germania, ma Miso riuscì a fuggire durante una marcia della morte da Lansberg e venne poi liberato dalle forze americane.
A quel punto ci spinsero attraverso i cancelli, frustandoci e picchiandoci, mentre i cani ci saltavano addosso. Arrivammo a un grande edificio di mattoni e ci spinsero dentro. C'erano anche altri prigionieri e le SS che ci dicevano cosa dovevamo fare. C'erano dei tavoli, dei lunghi tavoli; nella prima zona dovevamo svestirci, toglierci tutto. C'erano anche degli appendiabiti di filo di ferro e tu dovevi infilarci i tuoi vestiti e poi appenderli; poi dovevi toglierti le scarpe e metterle sul pavimento. Al tavolo successivo c'erano quelli che ti rasavano, i barbieri del campo; ti rasavano la testa, ti tagliavano via tutti i capelli e poi ti rasavano anche tutto il corpo. Dicevano che era per l'igiene. Poi andavamo a un altro tavolo, dove ci facevano il tatuaggio. Ce lo fecero sull'avambraccio sinistro. C'era uno che strofinava una piccola parte del braccio con un po' d'alcool mentre un altro aveva l'ago con l'inchiostro e faceva il numero. Il mio numero era il 65.316 che voleva dire che c'erano state altre 65.315 persone prima di me, che erano state numerate e tatuate. Una volta finito il tatuaggio ci portarono dove ci davano i vestiti, ma non quelli con i quali eravamo arrivati: ci diedero, invece, un berretto marrone a righe, una giacca, anche a righe, un paio di pantaloni - tutto a righe - un paio di zoccoli di legno e una camicia. Niente calze o biancheria intima. Poi, nello stesso posto, dove ci avevano dato l'uniforme, ci diedero anche due pezzi di stoffa che erano, direi, una quindicina di centimetri di lunghezza e più o meno quattro di larghezza ed erano... avevano la stella, la Stella di David; ogni pezzo corrispondeva al numero sul braccio e uno doveva essere cucito sul petto, a sinistra, e l'altro sulla gamba destra dei pantaloni. Poi, l'ultima cosa che ci diedero, l'oggetto più importante di tutti, fu una scodella rotonda. E quella scodella sarebbe diventata il centro della nostra vita, primo perché senza quella non ti davano nemmeno la misera razione di cibo che distribuivano normalmente, e secondo perché i servizi igienici erano praticamente inesistenti.
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